Educazione letteraria

Lineamenti di programmazione didattica del corso di lezioni per l’insegnamento “Educazione Letteraria”-indirizzo: Linguistico-letterario  Classe  A.D. 43 a 50 a- Corso speciale D.M. n°21 del 09/02/2005-legge 143-

Università agli Studi di Palermo- Facoltà di Lettere e Filosofia-  S.I. S..S..I..S

Anno accademico 2005/2006

Docente: Prof.Salvatore Coico

 

Approccio con il testo.

 

Il processo ermeneutico oggi esige un atteggiamento di cooperazione critica, attraverso il quale, seguendo la lezione di R. Barthes il lettore non legge, ma interroga il testo. Si tratta di una strategia euristica atta a comprendere il valore polisemico del testo letterario.

Il testo, come il suo etimo ci suggerisce è un tessuto, un insieme di segni e nel caso di testo scritto un intreccio di parole.

Ogni testo è l’espressione di una determinata realtà storico-sociale, ma talora il suo contenuto trascende dal contingente per assumere valori metastorici ed universali. La cultura, infatti, come afferma il. Lotman (J.M. Lotman-Tipologia della cultura-Milano- Bonpianii-1975-pag. 28) non è un semplice deposito d’informazioni, ma “è un meccanismo organizzato estremamente complesso, che conserva l’informazione, elaborando continuamente a tale scopo i processi più vantaggiosi e compatti, ne riceve di nuovi, codifica e decodifica i messaggi, li traduce da un sistema segnico ad un altro.”

Un testo è sì un documento, ma può essere considerato anche un monumento per il suo alto valore categoriale e metatemporale.

 

 

Il testo e la comunicazione

 

Il testo è un insieme di segni. Rifacendoci alle primigenie nozioni di linguistica introdotte da F. de Saussure (1857-18139) possiamo affermare che un segno è l’associazione di un significante e di un significato, intendendo con significato l’”immagine mentale “ e con significante “l’immagine acustica”.

Sempre. secondo Saussure, la lingua è un insieme di segni. La langue per lo studioso ginevrino è l’insieme dei segni, che servono come comprensione tra i membri di una stessa comunità linguistica, mentre la parole è l’uso che ciascun membro di tale comunità linguistica fa per farsi comprendere e rappresenta l’atto individuale e concreto dei soggetti, che si servono di quel sistema in una situazione determinata.

E’ chiaro che Saussure dà una rilevanza maggiore alla langue, che assume la valenza d’istituzione storico-sociale rispetto alla parole. Sull’argomento esplicito è il chiarimento espresso dallo stesso studioso, che in “Journal de psicologie” 1952 pp-137 così si esprime “ Lo studio della lingua comporta due parti: l’una essenziale, ha per oggetto la lingua, che nella sua essenza è sociale e indipendente dall’individuo, l’altra individuale del linguaggio, vale a dire la parole, ivi compresa in essa la fonazione; essa è psicofisica. Langue e parole rimangono due componenti assolutamente distinti per S; dovremo attendere gli studi più recenti in campo della linguistica e delle teorie letterarie per superare questa dicotomia.  

 

 Il principio di SAUSSURE

 

 

 

La lingua, come peraltro il testo letterario, viene studiata attraverso il processo sincronico (simultaneità temporale) e attraverso il processo diacronico (attraverso il tempo).

Un’altra utile distinzione è quello tra significato denotativo e significato connotativo.

 Denotazione è il valore informativo di una parola indicato dal vocabolario, connotazione è il surplus di senso che la parola acquista e può avere un referente allusivo, affettivo, evocativo, simbolico, storico, ideologico.

 Dalla linguistica alle teorie letterarie

 Gli studi linguistici influenzano ampiamente le teorie letterarie dando l’avvio alla critica strutturalistica. Ma che cos’è lo strutturalismo? Come suggerisce lo stesso etimo dal latino “struere” ordinare gli strutturalisti intendono dare una certa organicità unitaria a tutti gli elementi

costitutivi dell’opera letteraria. Come afferma Jean Starobinski lo strutturalismo non è, come il marxismo, una visione del mondo, né fonda, come la psicanalisi, la sua tecnica interpretativa su nozioni invariabili. Nell’approccio con l’opera d’arte, analizzata come un insieme di strutture, di cui sono pregnanti quelle linguistico-formali, il critico strutturalista non solo la legge, ma l’indaga, l’interroga.

Le modalità seguite dalla corrente possono essere individuate in tre forme di tipologia d’indagine critica

1)      linguistico-comunucativo

2)      semiologico

3)      formale

Per quanto attiene al metodo linguistico-comunicativo il più noto è quello di Sklovkij, che si basa sul principio dello “straniamento”. Con “straniamento” noi intendiamo la traduzione più comune di ostranenie (letteralmente rendere strano, un altro prezioso termine coniato dai formalisti. russi. In un suo saggio pubblicato nel 1917 Victor Sklovskij sostiene che scopo essenziale dell’arte è superare gli effetti causati dall’abitudine, mediante la rappresentazione di cose familiari in modi non familiari.

Il che non può avvenire se non con la sublimazione della parola; ed è proprio il linguaggio, infatti, che rende l’immagine artistica originale, imprevedibile.

L’arte conseguentemente, come affermerà Mukarovsky, in (La funzione, la forma esteticaEinaudi 1971) si realizza per la funzione estetica, che attualizza il valore del segno che viene recepito dal lettore.

Nell’uso del linguaggio l’autore, secondo i formalisti russi, opera uno scarto della parola, che diventa il nucleo fondante della sua poetica.

Nella poesia lo scarto della parola può diventare un ipersegno e quindi assumere il valore categoriale di dominante del testo poetico.

Lo studio del linguaggio e delle relative teorie letterarie trovano il loro sbocco naturale nella sfera della comunicazione..

Jakobson opera mirabilmente quest’interrelazione tra testo letterario e teoria della comunicazione individuando l’interazione attraverso queste componenti

a) contesto b)mittente c) messaggio d) destinatario e) codice a cui corrispondono sei diverse funzioni linguistiche:

1) referenziale 2) emotiva 3) poetica 4) conativa 5) fatica 6) metalinguistica.

L’attenzione che Jakobson pone alla funzione poetica è senz’altro ereditato dal principio dello”straniamento”

Lo studioso, nel formulare le sue congetture critiche, ci offre un sistema alquanto organico e coerente per leggere un testo letterario e per interpretarlo come un sistema di segni, rapportati non solo alla lingua, ma a diversi codici e sottocodici storico-culturali.

Ed adesso occupiamoci del secondo metodo della critica strutturalistica: quello semiologico.

Quest’ultimo considera l’arte come un insieme di segni e si rivolge soprattutto all’analisi del racconto tendendo ad enucleare “in varianti tematiche o “funzioni” ricorrenti nei miti, nelle favole o nella caratterizzazione e nelle vicende dei personaggi che espletano determinate funzioni nell’ambito degli stessi temi.

Si ricordi a proposito Propp. (Morfologia della fiaba Einaudi 1966)

Infine con la critica linguistico-formale gli studiosi si propongono di coordinare in una forma sistemica tutte le componenti che sottendono l’opera d’arte.

Ma per una comprensione più precisa di questa tecnica interpretativa lasciamo parlare il critico Avalle, che in Italia è il principale teorico di questa tendenza

“l’arte nella misura in cui esce dall’informe non è un aggregato casuale di unità disparate, ma comporta un principio di organizzazione e la presenza di elementi letterari.Ora se l’opera d’arte è intesa come tale solo nella misura in cui è possibile dare un nome a questi elementi, compito del critico sarà di individuare quanto ne determina il significato dal punto di vista punto di vista funzionale ad a esclusione di tutto ciò che vale unicamente sul piano dell’organizzazione esterna come la divisione e l’ordine delle parti (capitoli iniziali, l’impiego eventuale di figure retoriche etc).” (D.S. Avalle Corso di semiologia dei testi letterari, Torino, Giapichelli, 1972)

Lo stesso Avalle con l’analisi della lirica di E. Montale “Gli orecchini” ci offre un esempio mirabile di saggio critico fondato sui criteri della critica linguistico-formale..

 L’AUTORE E IL LETTORE

Autore reale- Autore implicito-

  Narratore- Narratio- Lettore implicito- Lettore reale

 L’autore reale è lo scrittore esterno al testo letterario nel quale comunque proietta una propria immagine letteraria, ma diventa autore implicito nel momento in cui detiene il senso profondo e la costruzione del testo.

All’autore implicito corrisponde il lettore implicito che è il lettore ideale che si prefigura l’autore al momento della sua creazione letteraria.

Ed è proprio in rapporto al lettore implicito che l’autore stipula un patto di lettura (convenzioni, regole per realizzazione dell’efficacia della comunicazione).

Secondo la critica recente anche l’intertestualità è compresa nel patto di lettura: la citazione esplicita o diretta, il riferimento ad altri testi sono una sfida al lettore chiamato a completare il senso con opportuni riferimenti.

Si considera che il lettore inizia con due operazioni pragmatiche il dizionario: (l’insieme di conoscenze linguistiche) ed una sua propria enciclopedia (l’insieme delle conoscenze di cui dispone per interpretare la realtà).

Tra il proprio modo di conoscere la realtà e le proprie competenze linguistiche l’autore proietta il lettore in un orizzonte di attesa che avrà il suo coerente svolgimento nell’ermeneutica del testo stesso.

Il lettore è tenuto a salvaguardare l’integrità del testo con correttezza filologica, ma al contempo ad accrescerlo con una sua originale attività interpretativa.

 Il sistema letterario.

 Non possiamo parlare di sistema senza tentare di chiarire il concetto dello “specifico letterario” e di enunciare quelle che riteniamo essere al momento le metodologie critiche più valide per indagare sul variegato mondo della letterarietà.

.Sull’argomento riferiamo quanto ci dice Asor Rosa in “Letteratura, testo, società Aa. Vv. vol.1-Torino 19822”.

“ Se la letteratura verrà considerata come un prodotto sociale, noi cercheremo in essa il predomino della rappresentazione (fedeltà, tipicità, aderenza, verosimiglianza rispetto ad un determinato contesto sociale).  Se la penseremo come prodotto della storia delle idee, in essa ci sembrerà prevalente il meccanicismo in base al quale l’organizzazione formale di una data ideologia produrrà (o dovrà produrre) strutture coerenti con la Welthascauung dell’autore. Il convincimento che l’approccio con il testo è regolato sempre da alcuni meccanismi del piacere, ci spingerà a motivare il nostro giudizio più o meno positivo sul testo in base alla formula edonistica, cui ci ispiriamo.

Se il meccanicismo basilare della conoscenza ci sembrerà di natura psicologica, cercheremo di ricondurre l’interpretazione dei personaggi e delle azioni alle leggi generali della psiche umana, cui la letteratura non può sottrarsi; analogamente faremo quando la struttura di base del linguaggio verrà fatta affondare nell’inconscio o nelle determinazioni che ad esso sono proprie. Chi, invece, nell’opera privilegerà il riferimento a certe componenti dominanti nell’ambito umano-intelllettuale circostante, darà di quell’opera una lettura antropologica. Un’opera, però, può essere intesa essenzialmente come sistema stilistico: la dinamica delle forme finirà in questo caso per influenzare tutto il resto, perché niente di psicologico né di subconscio, potrà penetrare, senza essere filtrato, purgato e sostenuto secondo il principio decisivo della coerenza stilistica.”

L’ampio quadro delle metodologie critiche tracciato da Asor Rosa ci induce a riflettere sulla problematicità della comunicazione letteraria e sulle molteplici spirali di interpretazioni critiche che oggi si offrono al lettore.

Il critico accentua l’attenzione sulla funzione propria dell’opera letteraria in rapporto alla lettura-rivisitazione che ne fa il lettore, che privilegerà l’una o l’altra forma di indagine interpretativa o nei termini che il testo stesso suggerisce e/o nelle forme congeniali alle proprie competenze ovvero nelle abilità (che talora possono anche sottendere un preciso intento individuale e personale) di decifrare il testo.

La varietà delle interpretazioni enunciate da Asor Rosa da quella marxista a quella antropologico-sociale, da quella psicoanalitica a quella stilistica, inoltre, ci rivela come il dibattito culturale concernente le teorie letterarie è a tutt’oggi ancora aperto e di non facile soluzione. Non sembra, infatti, che lo stesso Asor Rosa intenda porre una netta demarcazione tra i vari indirizzi critici.

Nel contesto delle sue parole, infatti, il critico sembra indulgere a considerare simmetricamente la diversità dei moduli ermeneutici in riferimento alla testualità ed alla scelta operata dal lettore.

Il che ci fa riflettere sulla complessità e sulla dialettizzzazione della comunicazione letteraria nel mondo contemporaneo.

Complessità e dialettizzazione dell’opera letteraria, oggi, inoltre, rientrano nella più ampia sfera della concezione del mondo, teorizzata dalla filosofia novecentesca di tipo probabilistica (Heidegger) e che germina anche nel campo estetico diversificati significati e problematiche..

E’ chiaro che, crollate tutte le certezze, che un impianto filosofico di tipo idealistico aveva

posto come momento fondante e conoscitivo dell’universo, anche la scrittura, che si identifica con la vita stessa dell’uomo e con la sua Welthascauung, doveva mutare per rispondere alle istanze del lettore che vive in uno spazio ed in tempo del tutto diversi e determinati

La scrittura oggi, pertanto, non può che avere un carattere polimorfo in quanto deve registrare tutte quante le voci del mondo in cui l’uomo vive e riproporre, come osserva Gramsci, “tutto quanto il reale nei modi propri dell’arte”.

Sarà poi compito del lettore individuare nella pagina scritta il senso ed il polisenso nella struttura unitaria del testo letterario.

Senso del testo letterario inteso come profondità di significato, che sta alla base del testo letterario, e polisenso, inteso come pluralità di significati al testo stesso afferenti, concorrono parallelamente alla comprensione unitaria dell’opera e del messaggio che l’autore ci trasmette.

Nell’ambito degli studi critici concernente il sistema letterario non possiamo dimenticare quello di M. Pagnini anche perché ci offre una visione alquanto ampia ed articolata sull’argomento.

 In “ Pragmatica della letteratura-Palermo-Sellerio 1980” l’autore tenta una classificazione dello statuto letterario che può essere enunciato in norme generali sottoelencate in 12 momenti diversi come ci riferisce il Marchese (A. Marchese- Il testo letterario-op.cit. pp.40-41)

1)      letteratura come imitazione degli stati del mondo (si pensi alla teoria marxista del “rispecchiamento” della situazione sociale.).

2)      letteratura come fantasia (opposta alla prima)

3)      letteratura come “scarto linguistico” (ad esempio la teoria dello “straniamento” dei formalisti russi.).

4)      letteratura come concentrazione di sistemi storico-sociali vigenti (vedi le poetiche di avanguardia)

5)      letteratura come complessità (polisemia dell’opera variamente interpretabile)

6)      letteratura come unità strutturale

7)      letteratura come sopravvivenza epocale (l’opera è grande se capace di rispondere alle domande postele dalle varie epoche in cui è recepita)

8)      letteratura come poetica del senso (le poetiche del Classicismo)

9)      letteratura come imitazione dei classici

10)   letteratura come opacità (la poetica del Simbolismo)

11)  letteratura come sentimento

12)   letteratura come impegno politico e via dicendo.

E’ senz’altro apprezzabile il tentativo del Pagnini nel voler catalogare il sistema letterario in vari momenti riferibili alle varie tappe delle categorie dello spirito e della storia nell’ambito della comunicazione letteraria, ma anche in questo caso non ci sembra che il concetto di letteratura assuma una sua specificità ideologico-culturale e conseguentemente anche nell’ambito dell’ermeneutica siamo lontani da una convincente impostazione metodologica unitaria.

Invero sia con Asor Rosa sia con Pagnini permane l’aporia circa la definizione stessa di “letterarietà” e sulla valenza delle tecnologie da adoperare nell’ambito critico.

Ancora una volta, allora, il discorso letterario rimanda alle teorie filosofico-estetiche del nostro tempo, che sembrano, però, lasciare insoluti molti quesiti.

Premesse queste considerazioni di ordine generale adesso ci pare opportuno enunciare alcuni aspetti costitutivi o generanti del testo letterario, certi come siamo e, come abbiamo avuto modo di osservare, che nel medesimo coesiste una fitta trama di interrelazioni storico-letterarie e di componenti storico-sociali rapportate altresì nell’ambito umano-esistenziale.

A dare vita e corpo a tutte queste forme di invenzione artistica e nello stesso tempo di rappresentazione necessita che il testo abbia delle strutture formali strumentali alla scrittura ed al messaggio che intende comunicare.

Le modalità strutturali fondamentali costitutive del testo sono:

1)      intertestualiatà (trama di rapporti fra il testo e il sistema dell’autore o fra il testo e determinati modelli letterari.)

2)      extratesto (rapporti storico-culturali, codici letterari non esplicitati nel testo, ma in funzione dei quali il testo assume uno specifico significato o una specifica funzione.)

3)      intratestualità (realtà interna al testo- riproposizione di temi ricorrenti legati all’autore o dal medesimo riferiti).

Nell’ambito del sistema letterario trovano inoltre cittadinanza i generi letterari..

 Generi letterari

 I generi letterari, oggi messi in discussione dalle moderne tendenze, hanno una loro precisa collocazione nella tradizione letteraria.

L’antichità classica si rifaceva alla varietà degli stili ponendoli in relazione a motivazioni di ordine ideologico-estetico e contenutistico.

La lirica, l’epigramma, l’idillio erano considerati come espressione dell’“io”individuale ed assumevano una valenza inferiore rispetto all’epos o alla tragedia che avevano un carattere corale e che trasferivano nell’opera il momento più alto delle concezioni mitico-religiose del tempo esaltando peraltro il pathos del personaggio, che veniva elevato a paradigma ideale.

Diversa era, inoltre, la tragedia rispetto alla commedia, che appunto perché era nata nella kome, (in greco provincia-regione da contrapporre al concetto di polis) e, quindi, in un habitat antropologico più ristretto impersonava caratteri e personaggio del quotidiano ed aveva talora un carattere di satira e di parodia.

Su questa concezione Dante fonda la concezione dei tre stili: sublime, comico, umile, riferendosi per l’appunto alla tragedia, alla commedia, all’elegia.

Anche se alla luce della critica contemporanea questa distinzione ha perduto i crismi dell’autenticità è da notare che oggi i generi letterari sono particolarmente oggetto di studio soprattutto nella prospettica dei codici linguistico-formali e nell’indagine dello svolgimento della storia della lingua letteraria.

Scrive a proposito M. Corti “M. Corti I generi letterari in prospettiva semiologia in “Strumenti critici” I, 1972-p. 9 ) “ Se la letteratura è passibile di essere indagata come interazione di istituti letterari, essa è anche da un lato un deposito di tematiche, dall’altro il canale collettore delle varie soluzioni formali che costituiscono la lingua letteraria. Per quanto sia dimostrabile che ogni genere ha avuto il suo tipo di “scrittura” impostato che fosse sulla linea del monolinguismo o del plurilinguismo, tuttavia si è sempre verificato che esso facesse i conti con le generali strutture retoriche della lingua letteraria che, in un paese, come l’Italia, è stata sino al nostro secolo il sostituto dell’inesistente langue”.

In quest’ottica lo studio intorno ai generi letterari ci dà la possibilità di leggere quest’ultimi oltre che sotto il profilo meramente linguistico anche in chiave antropologico-sociale.

 Le mutazioni del linguaggio rapportate a diversificate stratigrafie sociali in differenti contesti letterari diventa, allora, per lo studioso di letteratura un mezzo di conoscenza inalienabile anche per scoprire quel “campo di tensioni” che è presente all’interno di ogni istituto letterario.

ll testo poetico.

 Nel ‘900 si è animato il discorso sulla poesia. Ci sembra opportuno per meglio comprenderne le problematiche di dare la voce ai nostri poeti più rappresentativi.

S. Quasimodo nel Discorso sulla poesia, che apparve per la prima volta come Appendice a “Il falso e vero verde”, (Mondatori 1956) mostra di apprezzare la tesi di Anceschi e rivela un certo entusiasmo per il filosofo, che con metodo filologico, cerca di indagare sulle origini del linguaggio poetico di oggi e sulla sua forma assoluta, universale.

Anceschi ha inoltre precisato che la poesia contemporanea accoglie una molteplicità di temi e di significati, che le permette di vivere in un sistema non chiuso e di slargarsi in un orizzonte aperto nelle mobilità delle relazioni in diversi piani ed ordini.

La poesia, sempre per il critico, proprio nel ‘900 si libera dagli schemi rigidi, in cui la tradizione l’aveva imbrigliata, per “vivere un interrotto variare di rapporti nuovi, imprevedibili”

L’esigenza di vivere un rapporto nuovo con gli uomini e le cose, attraverso la numinazione della parola poetica, è fortemente sentita da S.Quasimodo, che nel testo citato così dice: “La storia delle “forme” come “storia della parola” non si esaurisce, poi anche quando fosse compiuta la storia dei poeti…………..Il poeta è un uomo che si aggiunge agli altri uomini nel campo della cultura, ed è importante per il suo “contenuto” (ecco la grave parola), oltre che per la sua voce, la cadenza di voce……………….La poesia è l’uomo…………………..La ricerca di un nuovo linguaggio coincide questa volta con la ricerca impetuosa dell’uomo.in sostanza, la ricostruzione dell’uomo frodato dalla guerra”.

Le parole del poeta siciliano ci fanno meditare sul valore della parola poetica nonché sull’impegno etico intrinseco alla stessa poesia.

La parola poetica, allora, pur nella sua assolutezza può diventare, come nota Hartman (Saving the test 1861) ferita (poesia-denuncia) o balsamo (poesia-consolazione). Invero, come già aveva significato Beaudelaire, la poesia può nascere dai fleurs du mal (maledizione) per poi elevarsi nella sfera della benedizione (strategia di costruzione della bellezza assoluta in cui la poesia supera la disarmonia e la tragicità per aprirsi uno spiraglio e per intrattenere, sempre a detta di Baudelaire un commerce avec le ciel.

In tutto il ‘900 il discorso sulla poesia si fonda sull’ontologia della parola, E ce lo esprime con vibrante tensione lirica G. Ungaretti nella lirica “Commiato” (2 ottobre 1916) nella quale dà una definizione della poesia

Poesia/ è il mondo, l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola/ la limpida meraviglia / di un delirante fermento/   conclude con queste parole: quando trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata nella mia vita /come un abisso.

La concezione di una poesia che si libra tra buio (angoscia esistenziale) e luce (parola-rivelazione dell’Essere) sta alla base di un discorso dialettico ancora oggi sentito profondamente dagli autori nonché dai critici e dai lettori.

Lo stesso Montale, anche quando dice “non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe……………………………………………. “non domandarci la formula / che mondi possa aprirti/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo………………………..seppure con l’anafora “non”, che manifesta la concezione di una teologia cosiddetta negativa, affida alla parola poetica l’unica possibilità di conoscenza metafisica e di rivelazione dell’Essere.

Più tardi lo stesso Montale dirà in (E. Montale- Sulla poesia- Mondatori 1971.) “Che cos’è una poesia lirica? Per conto mio non saprei definire quest’araba fenice, quest’oggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile, questa strana convivenza del ragionamento e dello sragionamento”.

Questa breve e sommaria premessa sui caratteri generali della poesia contemporanea ha un senso nel nostro discorso in quanto, dovendoci apprestare a trattare della lettura del testo poetico, ci sempre opportuno, sia pure nelle linee generali, comprenderne gli elementi essenziali costitutivi per procedere poi ad una corretta forma di indagine interpretativa.

Nel leggere un testo poetico, infatti, dobbiamo tenere presente il suo “dominante”, che spesso si basa un linguaggio potenziato al massimo e che nella sua natura può essere musica, canto dell’anima ed al contempo sublime forma di conoscenza dell’uomo e del mondo.

Sarà necessario cogliere nella parola il segno che è alla base dell’inventività lirico-fantastica dell’autore.

Seguendo i precetti di Mukarovsky dobbiamo rapportarci alla poesia cercando di interpretarne il valore, che le è proprio e che è quello di “raggiungere e colpire gli strati più profondi della spiritualità”.

Lo stesso M. afferma che il lettore di poesia ai fini di un’interpretazione omnicomprensiva della medesima “deve superare i limiti del sempre mutevole contesto storico” in quanto “l’opera poetica non si rivolge soltanto ad una personalità dello stato determinato della società, bensì a ciò che nell’uomo è generalmente umano”.

Seguendo la tesi dello studioso cecoslovacco ci appare chiaro che il lettore per una compiuta analisi del testo narrativo deve ricorrere a componenti extratestuali che possono essere significativi per la comprensione globale della poesia, che include in sé molti valori di carattere esistenziale, morale, sociale.

Bisognerà, pertanto, attribuire una specifica connotazione alla parola intesa come segno ( parola-atto che rivela un certo modo di essere o una manifesta una certa disposizione d’animo attestandosi come cifra poetica assoluta).

Il linguaggio poetico è diverso da quello usato dal comune linguaggio in quanto è per sua natura estetico.

Il segno nel testo poetico è ipersegno in quanto non si racchiude nei soli significati, ma nasce, come dice M. Corti (M.Corti- Principi della comunicazione letteraria- Bompiani 1971-p.21) “.nell’interazione dinamica di tutti gli elementi del discorso, interazione attivata da fattori metrico-ritmici decisivi per la genesi della poesia stessa”.

Il segno poetico, allora per sua stessa natura, è polisemico e spesso, come afferma Greimas (Greimas. Del senso, Milano, Bompiani, 1974, pag.290) “crea naturalmente l’isotopia, che è un insieme ridondante di categorie semantiche che rende possibile  la lettura uniforme di un testo”.

I due elementi che  formano un’isotopia sono semanticamente omogenei

Addiciamo alcuni esempi.

Si consideri la poesia di E. Montale  “Spesso il male di vivere ho incontrato”

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia

era l’incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato..

Il primo sema (male di vivere) si specifica nell’espressione, alla quale corrispondono tre simboli-metafore il rivo strozzato, che gorgoglia, l’accartocciarsi della foglia, il cavallo stramazzato.

Nella struttura della poesia, che per sua natura tende all’immaginario, prendono rilievo, inoltre, alcune forme archetipo-simboliche che si presentano variamente semantizzate nell’universo particolare dei poeti. Es. aria, fuoco, terra, sole…….motivi ricorrenti e rivisitati nelle forme esistenziale dell’io individuale dei poeti. Ricordiamo a proposito del sole Foscolo all’inizio dei Sepolcri vv.3-5 “Ove il Sole /per me alla terra non fecondi questa /bella famiglia d’erba e d’animali……………e la chiusa del Carme che riprende in forma di isotopia la figura del sole “finchè il Sole splenderà sulle sciagure umane

Considerata la complessità che l’analisi del testo poetico comporta ci apprestiamo  ai fini anche di una maggiore efficacia didattica a  presentare una griglia  di analisi di testi poetici.

 

Griglia di analisi dei testi poetici

 

  1. A.   INVENZIONE

 A. 1  Tematica

-la poesia ha un andamento prevalentemente narrativo, o descrittivo, o espressivo di stati d’animo? Se diversi di questi aspetti sono presenti, in quali rapporti stanno fra loro?

-quale spazio rispettivo hanno sentimenti, immagini, concetti? In quali rapporti stanno fra loro?

-i motivi hanno un valore simbolico?

-è implicata, e come la dimensione temporale dell’esperienza?

 

A.2 Realtà ed immaginazione.

-la poesia si riferisce a situazioni verosimili o ad un mondo immaginario? o fonde il reale con l’immaginario?

 

A.3 Le immagini, definito ed indefinito.

-predomina una visione percettiva (visiva, uditiva  etc.)

-prevale una chiara scansione delle immagini o un loro avvicendarsi irrazionalmente?

B.   DISPOSIZIONE

-il tema della poesia è uno e semplice, o si articola in diversi aspetti e momenti?

-si ha un tono uniforme o una varietà di toni espressivi?

-si può riconoscere che armonizza diversi temi e toni?

 

ELOCUZIONE

 

C.1 Sintassi

-prevalgono periodi lunghi o brevi?

–         c’è una presenza notevole di frasi nominali?

 

C.2 Varietà linguistiche

-il lessico è usuale o ricercato?

-come si collocano le scelte linguistiche del poeta rispetto alla lingua poetica tradizionale e ai linguaggi dell’uso comune?

 

C3 Figure retoriche

-quale rilievo hanno le metafore e le figure retoriche? Sono figure usuali o particolarmente originali?

-le figure servono ad arricchire il l’espressione o costituiscono la sostanza stessa del discorso?

-è possibile distinguere un senso letterale e uno figurato, oppure essi sono completamente fusi?

 

C.4 –si riconosce la ricerca di particolari effetti sonori ottenuti con l’allitterazione e con altre “figure di parole” o comunque con l’insistenza di timbri specifici?

 

D. METRICA

 

D.1 Schema metrico

-il metro è tradizionale o libero?- come si pone il poeta rispetto alla tradizione metrica?

 

E. INTERPRETAZIONE E COMMENTO

 

E.1  Interpretazione complessiva.

–         tra gli aspetti considerati, quali appaiono dominanti e caratterizzanti?

–         Quale  intento espressivo fondamentale si può attribuire all’autore? (esprimere uno stato d’animo, creare un’opera bella fine a se stessa, sostenere una tesi ideale o morale, continuare o contestare una tradizione letteraria.

E.2  Contestualizzazione storica

-ricorrono nel testo indizi significativi della personalità dell’autore, della sua poetica, del contesto culturale e letterario in cui ha operato?

E.3  Attualizzazione

-per quali aspetti il testo può essere significativo ed interessante per il lettore di oggi?

 

 

La narratologia

 

La narrativa è tra i generi che nel tempo hanno acquistato sempre una grande popolarità. Gli antichi la identificavano con la fabula per quel misto di realtà e finzione che questo genere letterario comprende

 La sua tradizione si è diffusa largamente nel tempo ed accanto ad una tradizione scritta  vanta una gloriosa tradizione orale.

Molti miti tramandati dall’età classica fungono ancora da archetipi alla narrativa moderna.

E mentre l’epica coincide con le origini letterarie (in Grecia, a Roma, in Francia, in Italia…) le altre forme narratologiche si affermano nel tempo con lentezza. Il romanzo appare in Grecia non molto prima del II secolo e veniva considerato un genere minore.

 Tuttavia anche prima della nascita del romanzo se ne possono rinvenire prototipi sempre in Grecia nella storiografiae nella biografia.

Il romanzo, invero, come l’epica contiene un patrimonio di testi trasmessi oralmente come le fiabe.

Al romanzo si affianca il racconto, che si differenzia dal primo per la brevità della durata.

Tuttavia questa distinzione non sempre è reale in quanto il romanzo può essere costituito da una serie di episodi e può ospitare al suo interno veri e propri racconti ( si prenda ad esempio la fabula milesia nell’Asino d’oro di Ovidio.)

Il romanzo, inoltre, presenta maggiore libertà di forme espressivo-inventive rispetto all’epica e alla tragedia che sono legate al canone ed ad un preciso registro linguistico-formale.

Nel romanzo un comune denominatore può riscontrarsi  nella ricorrenza a certe strutture e a meccanismi narrativi.

Tuttavia anche questi aspetti prevalenti nel romanzo sino all’Ottocento non sono più validi nella narrativa novecentesca.

La crisi ideologico-esistenziale dell’uomo del ‘900 ha fatto sì che un romanzo moderno può essere al contempo tragedia, commedia od anche epica ed elegia. (es. I Giganti della Montagna di   L. .Pirandello).

Dovendo analizzare i testi narratologici da quelli mitologici a quelli propri del romanzo, della tragedia e della commedia occorre individuare alcune componenti strutturali costanti

La prima costante, di cui ci occupiamo all’interno del testo narratologici, è quella costituita dal binomio storia-discorso.

.Fondamentale è nello sviluppo narrativo, infatti, la storia. Nella tecnica narrativa tuttavia esistono delle anacronie rispetto al tempo reale delle vicende narrate. Sull’argomento i Latini avevano definito i termini del tempo distinguendo la sequenzialità temporale della fabula in ordo naturalis (la reale successione degli eventi) ed in ordo artificialis  ( la sequenza temporale secondo la disposizione artistica).

Per realizzare nella narrativa questa ordo artificilias l’autore nella narrativa ricorre a  due procedimenti stilistici 1) analessi: evocazione di eventi anteriori in cui si trova il racconto.

2) prolessi:  anticipazione di un evento futuro.

Occorre adesso puntualizzare il modo con cui il narratore seguendo la sua inventività artistica ci presenta la storia da narrare ed il suo svolgimento.

Se il narratore  è ommnisciente (colui che conosce tutto ed anche l’universo  dei pensieri e dei sentimenti dei suoi personaggi) adotta  un punto di vista non focalizzato ( superiore ed  esterno alla vicenda che tratta.).

Il narratore, invece, cosiddetto scienziato, che assume la visione e la coscienza limitate del personaggio, che in una determinata struttura antropologico-sociale sembra “farsi da sé”(cfr: Verga), adotta la  tecnica della focalizzazione interna.

Nel ‘900, infine, l’autore ha sentito viva l’esigenza di porsi all’esterno di tutti i suoi personaggi, non assumendo l’ommniscienza, anzi professando di sapere meno di loro. In tal caso si limita a registrare  gesti, discorsi e sia l’azione che i personaggi sono sempre in fieri ed assumono una loro autonomia, che si svela altresì  nelle forme dialogico-discorsive.(è questa la ragione perché molta critica recente identifica lo stesso personaggio con l’atto linguistico). Siffatta tipologia narrativa si snoda con sequenze che seguono talora le modalità della scrittura filmica. E’ il caso dei romanzi maggiori di Pasolini.

La tecnica adottata dallo scrittore è in questo caso quella della focalizzazione esterna.

I tempi e gli spazi della storia si articolano attraverso la fabula (che potremo chiamare anche traccia) e l’intreccio che è per così dire la forma della trama, l’ordine particolare degli avvenimenti del racconto, le interrelazioni sussistenti tra fatti e personaggi attraverso l’assiologia spaziale-temporale.

Tempo e spazio sono nel racconto messi in stretta relazione con la situazione introspettivo-psicologica del personaggio e della vicenda nella quale si muove.

Attraverso l’assiologia spaziale-temporale possiamo invero non solo comprendere il senso profondo della storia e dello stato psichico-emotivo del personaggio, ma anche interpretare la Welthaschauung dell’autore ed individuarne il messaggio.

Secondo il Lotman gli assi spaziali possono articolare grandi discorsi metafisici..

 Dante, per esempio, inizia il suo cammino attraverso la selva oscura, cui fa riscontro il buio (l’assenza del bene) per poi ascendere nel Purgatorio.che si conclude in vetta  nella divina foresta del Paradiso. terrestre.

Il terzo momento è rappresentato da una spazialità luminosa che si conclude nell’Empireo in una sublimazione mistica della “candida rosa”.

I tre referenti: selva, foresta, rosa sono elementi paradigmatici dell’itinerario  del peregrino Dante dal mondo della perdizione a quello della salvezza.

Altre volte gli assi temporali-spaziali possono essere interpretati in relazione al personaggio ed al suo ambiente in senso strettamente antropologico-sociale ed esistenziale. E’ il caso di Rosso Malpelo di G.Verga.

 Così scrive al riguardo A.Marchese. “ Il testo letterario- S.E.I- 1994 -pag.163. “In Rosso Malpelo il sistema spaziale è articolato con doppia opposizione semica.

                                 SPAZIALITA’

Degli altri

CASA

====sopra======

 azzurro –turchino-mare

 Cielo, mare, campagna ==============aperto

 

SPAZIALITA’

Dell’eroe

CAVA

===sotto==============================rosso-nero

Sottoterra

Chiuso

 

Lo spazio dell’autore è quello sotterraneo e chiuso della cava e del mondo inferico; lo spazio degli altri, superiore e aperto, si visualizza nelle case, nel cielo, nel mare e nella campagna.(con i suoi colori vivaci contrapposti al lugubre buio delle gallerie e al rosso della rena traditrice). La costruzione tipologica, in questo caso, va oltre la sfera della pura descrizione e della stessa diegesi, in quanto tocca i livelli profondi, assiologici ed esistenziali del protagonista, i suoi rapporti con gli altri personaggi e con la natura: l’intreccio dei codici ha per effetto una complessa metamorfosi del senso narrativo.”

Ci siamo accorti che alle tecniche narrative corrisponde una diversa visione della vita dell’autore che è sempre legato all’humus storico-sociale del suo tempo.

Ne deriva conseguentemente che anche la tipologia del personaggio varia nel tempo-

La fondamentale distinzione tra figura del personaggio  quale ci appare sino all’800  e quello contemporaneo  viene formulata dal Foster nel 1927:  Fino all’Ottocento, nota lo studioso, prevaleva nel tessuto narrativo dell’autore come tipologia del personaggio l’“homo fictus, mentre nel Novecento prende campo la figura dell’“homo sapiens”.

Con homo fictus si rappresenta il personaggio ideale proposto dall’autore omnisciente ( es.I Promessi Sposi di A.Manzoni).

L’homo sapiens, invece, si contrappone all’homo fictus  e come il suo stesso etimo propone  (dal latino sapere) prende vita e corpo in relazione con la reale vita, con le vicissitudini che percorre e si costruisce autonomamente anche attraverso forme diaologico-discorsive  tutte proprie.

Dall’epica antica all’’800 la parabola del personaggio è stata raffigurata dall’“homo sapiens”, costruito dall’autore omninisciente e modellato secondo archetipi universali.

Col mutare del tempo e con l’avvento delle concezioni filosofico-probabilistiche del ‘900 all’homo fictus, costruito a tutto tondo dall’autore e riconducibile a valori paradigmatici, si contrappone l’uomo-particella (homo sapiens) che vive nei frantumi dell’Essere e che ha una vita indefinita e che spesso rappresenta per il lettore un alter ego da interrogare nelle sfaccettature del suo divenire, del suo farsi personaggio, del suo atto comunicativo-linguistico.

 

Il discorso 

 

La peculiare attenzione dei narratori novecenteschi volti ad interpretare il reale fenomenico in una dimensione  del tutto antroplogico-esistenziale ci induce a sviluppare il secondo aspetto del binomio necessario e sottostante ad ogni processo di scrittura narrativa, di cui abbiamo innanzi detto: “Storia  e discorso”. Volendoci soffermare su quest’ultimo e, seguendo le indicazioni teoriche proposte da Bachtin, possiamo affermare che la narrativa contemporanea è un fenomeno pluristico, pluridiscorsivo, plurivoco.

Col termine pluristico intendiamo una mescolanza di unità stilistiche interagenti su differenti piani della lingua.

Con la denominazione pluridiscorsivo invece vogliamo significare una stratificazione sociale del linguaggio  (dialetti, gerghi…modi di dire) che comunica al lettore una ricca dialettica ideologica.

Infine diamo al discorso l’accezione “plurivoco” in quanto l’autore si propone di dare voci a più persone che appaiono in palese contrasto sul piano sociale ed anche sul piano psicologico-esistenziale. ( FenoglioIl partigiano Jonny).

Sempre secondo Bachtin approdiamo ad una forma di dialogia, in cui si trascrivono i conflitti, le diversità della vita e dei personaggi con una scrittura reale.

Ed è proprio in virtù di queste risorse linguistiche e delle nuove invenzioni tecniche e stilistiche che la narrativa, oggi, superati gli schemi di una cultura borghese e comunque distante dal popolo, attraverso la sua metamorfosi ci propone illusioni ed allusioni, miti e simboli di una realtà che deve essere compiutamente trascritta dall’autore ed interrogata dal lettore.

 

Le forme del discorso narrativo

 

a)      discorso narrativizzato o raccontato ( è l’autore che gestisce il discorso e parla a nome dei personaggi).

b)       discorso trasportato in stile indiretto (conserva la presenza del narratore, che cita però a suo modo le parole dei personaggi.

c)      discorso riferito o diretto ( il narratore riferisce direttamente le parole del personaggio.)

d)      soliloquio (presente soprattutto nel teatro- il personaggio medita- su se stesso; può

avere un carattere di confessione e comunque di introspezione psicologica spesso con accentuazioni di livello lirico.)

e)      monologo interiore (presente in Svevo: una forma di autoanalisi attraverso cui il lettore entra direttamente a contatto con la vita interiore del personaggio).

f)        flusso di coscienza: si distanzia dal monologo interiore in quanto contiene una forma di alogicità, che si rinviene anche  nell’uso asintattico dell’espressione, che propone una serie indistinta di immagini, sensazioni e pensieri che emergono dagli strati più profondi dell’inconscio. (cfr. il flusso di coscienza nell’Ulisse di Joyce, nel quale le parole non seguono alcun ordine logico, ma connotano solo i perturbamenti del personaggio; persino la punteggiatura viene abolita.)

Per quanto concerne i livelli narrativi ed il rapporto tra narratore e storia riferiamo quanto viene illustrato da A. Marchese (Il testo letterario op.cit. a pag166 )  “ I livelli narrativi si manifestano quando il narratore di primo grado (o diegetico) cede la parola a un personaggio, che diventa narratore di un racconto di secondo grado (o metadiegetico). Il narratore di primo grado è detto esxtradiegetico (è fuori dalla storia), quello del racconto secondo è detto intradiegetico e non può che rivolgersi ad altri personaggi del racconto primo: è il caso di Ulisse davanti ai Feaci o dei giovani personaggi-narratori del Decameron, responsabili dei cento racconti metadiegetici. (il racconto di primo grado è la cosiddetta cornice).”

Quanto al rapporto fra il narratore e la storia si distinguono due tipi di racconto.

 Il primo è eterodiegetico con narratore assente nella storia raccontata, (il narratore-autore Omero, Manzoni nei Promessi Sposi), il secondo (omodiegetico) con narratore presente nella storia raccontata

.La presenza del narratore ha delle gradazioni, per cui l’omodiegetico si distingue in due varietà (autodiegetico e allodiegetico a secondo che il narratore sia protagonista della storia, come Mattia Pascal, o semplicemente un testimone come Moby Dick.”

 

La metamorfosi della narrativa nel Novecento

Principali teorie letterarie

 

Nel Novecento si pone in discussione il concetto di letterarietà intesa in senso classico della narrativa e parimenti si focalizza il discorso sugli innovativi stilemi linguistici, che configurano la cosiddetta “lingua antiletteraria”, che per gli scrittori coevi rappresenta al contempo l’unico modo possibile per trascrivere ed interpretare il reale fenomenico nonché per dare voce autentica ai personaggi.

Come fa rilevare Pratt “molti elementi che gli studiosi hanno giudicato costitutivi della “letterarietà”  nel  romanzo non sono affatto letterari, comparendo nei romanzi non perché romanzi (letteratura) ma perché questi elementi appartengono ad una categoria più generale di atti linguistici: in questo caso la categoria della narrativa”.

E mentre nel ‘900 si afferma la nuova forma narratologica del romanzo si evidenzia sempre più la differenza tra il concetto classico di epica e la moderna accezione di romanzo e si pone in risalto l’opposizione dell’eroe positivo dell’età classica a confronto con l’eroe  (il più delle volte eroe negativo)  e/o il personaggio del quotidiano nella cultura narratologica contemporanea.

L’epica, in effetti, che si era originata in età preistorica prima ancora della scrittura ha un suo canone, un suo archetipo determinato.

Il romanzo, in particolare quello moderno, non ubbidisce  a nessun canone

. Nel mondo dell’epica è raffigurato il passato eroico che spesso è stato interpretato nella tradizione letteraria come paradigma della gloria della storia nazionale.

Il mondo degli eroi, pertanto, ci appare a livello assiologico-temporale inaccessibile, separato da una distanza epica.  Anche il linguaggio in tal caso deve ubbidire   ad un canone preciso di registri linguistici.

Come, invece, abbiamo avuto modo di osservare gli assi temporalesapziali nella narrativa novecentesca non rimandano ad alcun canone o ad alcun archetipo prestabilito.

Spazio e tempo si configurano in una realtà  fenomenica legata all’esistente e al quotidiano.

In questa cornice anche la lingua come il personaggio hanno una storia mutevole e sempre in divenire, corrispondente al vissuto della propria esperienza modellata dall’invenzione personale dell’autore.

E’ da sottolineare, però, che il dibattito culturale promosso nel ’900  ha un carattere bipolare.

Se da un lato, infatti, gli scrittori e i teorici della letteratura tendono a definire il loro modo diverso di “fare letteratura” e la distanza che li separa dal mondo della tradizione classica, dall’altro non rinnegano il passato, anzi lo comprendono adattandolo al loro tempo attraverso il ri-uso di miti (L. Pirandello- I Giganti della Montagna– Joyce.-Ulisse) e la rivisitazione di tutte le svariate forme letterarie precedenti.

Nasce, allora, l’esigenza di una nuova codificazione dei generi letterari e nel campo propriamente teorico insorge un’innovativa concezione del realismo omnicomprensivo del mondo artistico anche in senso diacronico.

E parlando di realismo nell’ottica della critica contemporanea non possiamo che ricondurci  alle teorie proposte in merito da Auebarch, che ci apprestiamo ad enunciare sommariamente nelle linee generali.

 Lo studioso ricusa la teoria antica degli stili,  secondo la quale. la realtà quotidiana doveva essere letterariamente trascritta entro la cornice di uno stile umile e medio per approdare infine ad “una forma grottesca e comica oppure di divertimento leggero ed elegante” e stigmatizza il fatto che “Stendhal e Balzac, facendo oggetto di rappresentazione seria, problematica, o addirittura tragica, persone comuni della vita quotidiana, condizionate dal tempo in cui vivevano, infransero la regola classica dei livelli stilistici.”

Lo sguardo del teorico della letteratura tende però a spingersi oltre ed è proteso a  scrutare nella sua globalità il processo diacronico del fenomeno letterario. I suoi principi, per maggiore intelligibilità sul piano didattico, possono essere compendiati  in questi aspetti fondamentali

1)      le barriere concernenti la separazione degli stili sono abbattute nell’età del Romanticismo.

2)      le barriere che imponevano una netta separazione degli stili permangono negli autori che sono seguaci di una rigida imitazione delle letterature antiche verso la fine dei secoli XVI e XVII.

3)      Nel Medioevo ed anche nel Rinascimento si era avuto un realismo serio. La poesia come le arti figurative rappresentavano il reale anche con tono serio e grave e pertanto la teoria dei livelli stilistici non aveva nessuna validità generale

4)      .Con il Cristianesimo si ha il primo superamento delle leggi stilistiche. “ La prima breccia nella teoria del mondo classico risale proprio alla fine del mondo antico e fu la diffusione del Vangelo…………fu la storia di Cristo con la sua spregiudicata mescolanza di realtà quotidiana e d’altissima e sublime tragedia”.

Le teorie proposte da Auebarch sono illuminanti  sia per quanto riguarda il principio degli stili, sia per la nuova visione del realismo, che lo studioso chiama figurale, e la cui ideologia trasferita sul piano della metodologia critica, ci ha dato e continua a darci la possibilità di leggere le opere letterarie di ogni tempo ed in particolare  la  Commedia di Dante in forma del tutto originale e con convincenti esiti ermeneutici.

Ci pare doveroso, però, dopo aver orientato la nostra attenzione proprio sulla categoria estetica del realismo, quale ci viene proposta da A., enucleare la sostanziale differenza tra realismo medievale e realismo moderno. Il concetto viene chiarito  dallo stesso critico.

Auebarch, infatti , precisa che c’è una netta distinzione tra il realismo medievale e quello moderno.

Infatti ogni fatto che avviene nella terra, secondo il realismo medievale, è anticipazione di un evento futuro e la connessione e la successione degli avvenimenti sono considerati non casualmente, ma preordinati dal volere divino. Anche i personaggi e  le istituzioni del mondo primigenio o classico sono visti come “figure”, anticipazioni del mondo escatologico- divino.

Nell’esegesi cristiana Adamo, infatti, è una “figura” di Cristo ed Eva della Chiesa e lo stesso impero universale romano figura” di Dio.

Il realismo moderno, nota Auebarch, invece, oltre alla gerarchia stilistica si contrappone alla concezione figurale del Medioevo letterario in quanto immerge la rappresentazione proprio nel reale storico, nel quotidiano, che si snoda con l’esperienza vissuta e che non ha nessun nesso di causalità con paradigmi universali .

Se Auebarch sviluppa in maniera originalissima la teoria degli stili, Bachtin, rifacendosi all’analisi  morfologica russa, fonda la sua attenzione non su un principio di teoria letteraria, bensì su un fenomeno di carattere antropologico-sociale: il carnevale.

Il carnevale è uno spettacolo, infatti, che non ha regole precise; non vi è distinzione tra esecutori e spettatori (nell’interpretazione del testo narrativo contemporaneo si intende abolire altresì la distanza tra autore e lettore), tutti prendono parte all’azione (tutti quanti gli esseri umani e a qualunque stratigrafia sociale appartengono hanno diritto di cittadinanza nell’universo letterario della narrativa contemporanea).

 Nel carnevale, inoltre, puntualizza sempre Bachtin non si recita, si vive (l’identità letteratura-vita è uno dei presupposti fondamentali di tutta quanta la letteratura novecentesca.).

Il carnevale, inoltre, propone l’abolizione di tutte le regole (nell’ambito letterario vale a dire l’abolizione di tutte quelle norme di ordine retorico e stilistico che spesso erano deformanti nella rappresentazione della realtà o dell’autenticità dell’esperienza vissuta e/o comunicata dal personaggio).

La vita carnevalesca è peraltro una vita “all’incontrario” e “al rovescio” (si allude al rovesciamento di tutte le categorie estetiche e della gerarchizzazione nell’ambito sociale.)

Conseguentemente Bachtin può concludere affermando che nell’epoca moderna la carnevalizzazione della letteratura si riflette nel romanzo, nonché in tutte quelle esperienze che

realizzano la mescolanza degli stili, dei generi, contrapponendo alla tradizione gerarchica, fissata in rigidi schemi classicistici e statici caratterizzanti la cultura ufficiale, un dinamismo di forme letterarie aperte alla “dialogicita”, ad un discorso pluralistico, plurivoco aperto a tutte le stratificazioni sociali.

Il concetto del carnevale nella sua  trasposizione nel campo della teoria della letteratura, non assume, però, soltanto la connotazione ludica di parodia, comprende un polisenso che dalla sfera del tutto psicologica ed umana del singolo personaggio si allarga ad un contesto antropologico-sociale ben più ampio.

E se invero con il concetto di carnevalizzazione della letteratura e, particolarmente con la visione della vita, “all’incontrario” e di un “mondo alla rovescia” possiamo esemplare l’emancipazione delle classi europee dopo il tramonto dell’aristocrazia, non sembra che la  gioiosa  festa arrechi sempre il sorriso ed infonda ottimismo; anzi lo stesso polisenso della mescolanza e della mancanza dell’ordine appaiono come i segni della problematicità esistenziale e della lacerazione dell’io, di cui tanta parte della migliore letteratura novecentesca è stata e continua ad essere rivelatrice ed appassionata interprete.