La figura di Ulisse ieri ed oggi

 

1 Giudizio di Cicerone su Ulisse

2 Catullo  Carme CI

3. U.Foscolo Dai “Sonetti” A Zacinto

4.  G. Pascoli ” L’ultimo viaggio”

5 . Il ricordo dell’Ulisse dantesco in Primo Levi

Cicerone De Officiis
Libro III cap.XXVI
 
XXVI.         Utile videbatur Ulixi, ut quidem poetae tragici  prodiderunt (nam, apud Homerum, optumum auctorem, talis de Ulixe nulla suspicio est), sed insimulant eum tragoediae simulatione insaniae militiam subterfugere voluisse. Non honestum consilium, at utile, ut aliquis fortasse dixerit, regnare et Ithacae vivere otiose cum parentibus, cum uxore, cum filio. Ullum tu decus in cotidianis laboribus et periculis cum hac tranquillitate conferendum putas ?   Ego vero istam contemnendam et abiciendam, quoniam, quae honesta non sit, ne utilem quidem esse arbitror. Quid enim auditurum putas fuisse Ulixem,si in illa simulatione perseveravisset? Qi  cum magimas res gesserit in bello, tamen haec audiat ab Aiace:
Cuius ípse princeps iúris iurandí fuit,
Quod ómnes scitis, sólus neglexit fidem;
Furere àdsimulare, né coiret, ínstitit.
 Quodní Palamedi perspicax prudéntia
Istíus percepset màlitiosam audàciam,
 Fidé sacratae iús perpetuo fàlleret.
 
Il1i vero non modo cum hostibus, verum etiam cum fluctibus, id quod fecit, dimicare melius fuit quam deserere consentientem Graeciam ad bellum barbaris inferendum.
Sed omittamus et fabulas et externa; ad rem factam nostramque veniamus.M. Atilius Regulus cum consul iterum in Africa ex insidiis captus esset, duce Xanthippo Lacedaemonio, imperatore autem patre Hannibalis Hamilcare, iuratus missus est ad senatum, ut, nisi redditi essent Poenis captivi nobiles quidam, rediret ipse Carthaginem.
 Is cum Romam venisset, utilitatis speciem videbat, sed eam, ut res declarat, falsam iudicavit; quae erat talis: manere in patria, esse domui suae cum uxore, cum liberis, quam calamitatem accepisset et in bello,communem fortunae bellicae iudicantem, tenere dignitatis gradum. Quis haec negat esse utilia ?, quem censes ? Magnitudo animi et forttitudo negat  

   Catullo – Carmina -CI

   Multas per gentes et multa per aequora vectu

Advenio has miseras,frater, ad inferias

  Ut  te postremo donarem munere mortis

 Et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
                                  

Quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
                                    

Heu miser indigne frater adempte mihi!
                                  

   Nunc tamen in terra haec, prisco quae more parentum
   

  Tradita sunt tristi munere ad inferias
                                    

  Accipe fraterno multum manantia fletu,
                                   

    Atque in perpetuum, frater, ave atque vale.

U. Foscolo ” A  Zacinto” 

A ZACINTO
Nè mai più toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
 Zacinto mia, che te specchi nell’ onde
Del greco mar , da cui Vergine nacque
 
Venere, e fea quell’ isole feconde
 Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
 L’ inclito verso di colui  che 1′ acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio,
Per cui bello di fama e di sventura,
Baciò la sua petrosa Itaca Ulísse.
 
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra: a noi prescrisse
Il  fato illacrimata sepoltura.
[1803].

G. Pascoli ” L’ultimo viaggio “

Giovanni Pascoli
L’ultimo viaggio
 
Le Sirene
 
Indi più lungi navigò, più triste.
E stando a poppa il vecchio Eroe guardava
verso la terra de’ Ciclopi,
e vide dal cocuzzolo selvaggio
  del monte, che in disparte era degli altri,  5
levarsi su nel roseo  cielo un fumo,
tenue, leggiero, quale esce su l’alba
del fuoco che al pastor arse la notte.
Ma i remiganti curvi sopra i remi
vedean sì, nel violaceo mare                    10
lunghe tremare l’ombre dei Ciclopi
fermi sui lidi come ispidi monti.
E il cuore intanto di Odisseo vegliardo
squittiva dentro, come cane in sogno.
-Il mio sogno non era altro che sogno ;      15
e vento e fumo. Ma sol buono è il vero.-
e gli sovvenne delle due Sirene.
C’era un prato di fiori in mezzo al mare.
Nella gran calma le ascoltò cantare:
-Ferma la nave! Odi le Sirene.                    20
ch’hanno la voce come è dolce il miele;
 ché  niuno passa su la nave nera
che non si fermi ad ascoltarci appena,
e non ci ascolta, che non goda al canto,
né se ne va senza saper più tanto:                25
che noi sappiamo tutto quanto avviene
sopra la terra dove è tanta gente!-
Già sovveniva, e ripensò che Circe
gli invidiasse ciò che solo è bello:
saper le cose. E ciò dovea la Maga                30
dalle molt’erbe, in mezzo alle sue belve.
Ma l’uomo eretto, ch’ ha il pensier dal cielo,
dovea fermarsi udire, anche se l’ossa
avean pi da biancheggiar nel prato,
e raggrinzarsi intorno lor la pelle.                    35
Passar ei non dovea oltre, se anco
gli si vietava riveder la moglie
e il caro figlio e la sua patria terra.
E ai vecchi curvi il vecchio Eroe parlò:
“Uomini, andiamo a ciò che solo è bene:           40
a udire il canto delle due Sirene.
Io voglio udirlo, eretto su la nave,
né già legato con le funi ignave:
libero! alzando su la ciurma anela
la testa bianca come bianca vela;                       45
e tutto quanto nella terra avviene
saper dal labbro delle due Sirene”.
Disse, e ne punse ai remiganti il cuore,
che seduti coi remi battean l’acqua.
saper volendo ciò che avviene in terra:                 50
se avea fruttato la sassosa vigna,
se la vacca avea fatto, se il vicino
avea d’orzo più raccolto o meno,
che facea la fida moglie allora,
 se andava al fonte, se filava in casa.
 
 
Il vero
Ed il prato fiorito era nel mare,
nel mare liscio come un cielo; e il canto
 non risuonava delle due Sirene;
ancora perché il prato era lontano.
E il vecchio eroe sentì che una sommessa                       5
forza, corrente sotto il mare calmo.
spingea la nave verso le Sirene;
e disse agli altri di innalzare i remi:
 “La nave corre da sè, compagni!
Non turbi il rombo del remeggio i canti
delle Sirene. Ormai le udremo. Il canto
placidi udite, il braccio su lo scalmo”.
e disse agli altri di innalzare i remi:
“la nave orsù corre da sé,compagni!
Non turbi il rombo del remeggio i canti                              10
delle Sirene. Ormai le udremo. Il canto
placidi udite,il braccio su lo scalmo”.
E la corrente tacita e soave 
più sempre avanti sospingea la nave.
E il divino Odisseo vide alla punta                                      15
dell’isola fiorita le Sirene,
stese tra i fiori con il capo eretto
su gli oziosi cubiti, guardando
il mare calmo avanti a sé, guardando 
il roseo sole che sorgea di contro;                                      20
guardando immote; e la lor ombra lunga
dietro rigava l’isola dei fiori.
“Dormite? L’alba già passò. Già gli occhi
vi cerca il sole tra le ciglia molli.
Sirene, io sono ancora quel mortale                                    25 
che v’ascoltò, ma ma non poté sostare”.
E la corrente tacita e soave 
più sempre vanti spinge la nave.
E quel vecchio vide che le sue Sirene,
le ciglia alzate su le due pupille,                                           30
avanti a sé miravano, nel sole 
fisse, od io in lui, nella sua nave nera.
E su la calma immobile del mare,
alta e sicura egli alzò la voce.
 “Son io, son io, che torno per sapere!                                 35
Ché molto io vidi, come voi vedete
me. Sì; ma tutto ch’io guardai nel mondo
mi riguardò; mi domandò: Chi sono?”.
E la corrente tacita  e soave
più sempre avanti sospingea la nave                                      40.
E il vecchio vide un grande mucchio d’ossa
d’uomini, e pelli raggrinzate intorno,
presso le due Sirene, immobilmente stese
sul lido, simili a due scogli.
 “Vedo. Sia pure.Questo duro ossame                                  45
cresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate!
Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,
prima ch’io muoia. a ciò ch’io sia vissuto!”
E la corrente rapida e soave 
più sempre avanti sospinge la nave                                        50.
E s’ergean su la nave alte le fronti,
con gli occhi fisse delle due Sirene.
“Solo mi resta un attimo.Vi prego!
Ditemi almeno chi sono io! chi ero!”
E tra i due scogli si spezzò la nave                                          55
 
(Da  Poesie  Mondadori  Milano 1978)

Il ricordo dell”ulisse dantesco in Primo Levi

Primo Levi
 
Se questo è un uomo
 
Il ricordo del canto di Ulisse in Primo Levi
 
Mentre l’autore con altri detenuti sta pulendo l’interno di  una cisterna. si affaccia Jean,studente anziano, il “Pikolo” della squadra,cioè colui che avendo una serie di incombenze, gode di qualche privelegio: Jean è  benvoluto perchè mantiene rapporti umani con i compagni, aiutandoli in tutti i modi.
 
Appeso alla scala con una mano oscillante mi indico:
Ajourd’hui c’est Primo qui viendra avec moi cercher la soupe.
Fino al giorno prima era stato Stern, il transilvano strasbico; ora questi era caduto in disgrazia per non so che storia di scope rubate in magazzino e Pikolo era riuscito ad appoggiare la mia candidatura come aiuto nell'”Essenholen, nella corvée quotidiana del rancio.
Si arrampicò fuori, ed io lo seguii, sbattendo le ciglia nello splendore del giorno. Faceva tiepido fuori, il sole sollevava dalla terra grassa un leggero odore di vernice e di catrame che mi ricordava una qualche spiaggia estiva della mia infanzia. Pikolo mi diede una delle due stanghe e ci incamminammo sotto un chiaro cielo di giugno.
Cominciavo a ringraziarlo, ma mi interruppe, non occorreva: Si vedevano i Carpazi coperti di neve. Respirai l’aria fresca, mi sentivo insolitamente leggiero.
……………………………………….. Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà: Capirà: oggi mi sento da tanto.
……….Chi è Dante.Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso: Virgilio è la Ragione, Beatrice la Teologia.
Jean è attentissimo ed comincio lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica.
Indi, la cima in qua e là menando
come fosse la lingua che parlasse
mise fuori la voce e disse: Quando?
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”.
E poi “Quando”? Il nulla.Un buco nella memoria. “Prima che sì Enea lo nominasse”. Altro buco. viene a galla qualche frammento non utilizzabile: “…la pietà del vecchio padre, né il debito amore Che dovea Penelope far lieta……” sarà poi esatto?
…………….Ma misi me per l’alto mare aperto
Di questo sì, di questo son sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché ” misi me” non è “je me mis” è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare   se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto; Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si  chiude su se stesso, libero diritto e semplice e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
Siamo arrivati al Kraftwerk, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci deve essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori dalla trincea. mi fa un cenno colla mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare.
 “Mare aperto”. ” Mare aperto”. So che rima con  “diserto”; “……..quella compagnia picciola, dalla qual non fui diserto”,, ma non rammento più se viene pria o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle Colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio: Non ho salvato un verso, ma vale la pena di fermarcisi.
…………………………….Acciò che l’uom più oltre non si metta
“Si metta” dovevo venire in un Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima ” e misi me”. Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante.Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco, attento PiKolo, apri gli occhi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguire virtude e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta; come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono.
Pikolo mi pregava di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene: O forse è qualcosa di più: forse nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle. ………….e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol
dire “acuti”. Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile “……Lo lume era di sotto della luna” o qualcosa di simile; ma prima?….Nessuna idea “Keine Almug” come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
-Ca ne fait rien. vas-y tout de meme.
………………Quando mi apparve una montagna bruna
per la distanza e parvemi alta tanto
che mai veduta non avevo alcuna.
Sì, sì “alta tanto”, non ” molto alta”, proposizione consecutiva: e le montagne, quando si vedono di lontano….le montagne……oh Pikolo, Pikolo, dì qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Basta, biosgna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.
Darei la zuppa di oggi per saper saldare ” non avevo alcuna col finale”. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, mi mordo le dita, ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi “…………la terra lagrimosa diede vento………..”no, è un’altra cosa. e’ tardi, e’ tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fè girar con tutte l’acque,
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, come altrui piacque………
Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque” prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e latro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui….
Siamo ormai alla fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Komandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle.-Kraut und Ruben?-Kraut und Ruben-. Si annunzia che la zuppa è di cavoli e rape- Choux et navets.- Kaposzta es repak
Infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.  
 
  
 
 
 

  
 
 
 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

  

 

 

 

La figura di Ulisse ieri ed oggi
Hom. Ody.L l.XII vv.184- 214